DJI Matrice 400 - decollo e atterraggio su una barca in movimento, Ecco com’è andata.

Qualche mese fa sono stato contattato per una missione particolare: creare un dispositivo aereo in grado di decollare e atterrare su una barca in movimento, in modo completamente automatico. L’obiettivo era sorveglianza marittima con un payload da 5 kg e la necessità di volare per ore. Un progetto che, sulla carta, sembrava impossibile da realizzare con la tecnologia attuale — ma era proprio questo a renderlo interessante.

Il problema da risolvere

Dopo mesi di studi, ricerche, telefonate e test, mi ero reso conto di una cosa: non esisteva ancora un drone adatto a quella missione. Alcuni erano troppo delicati per resistere all’acqua salata. Altri non avevano una funzione di atterraggio dinamico, fondamentale su una barca che si muove e oscilla. I droni tethered? Ottimi per l’alimentazione continua, ma inutilizzabili in mare aperto.

Insomma, avevo davanti un elenco infinito di candidati, ma nessuno che funzionasse davvero sulla carta e nella realtà.

Finché un giorno, tra le schede tecniche e i forum, ho trovato qualcosa che poteva cambiare tutto.

Il DJI Matrice 400

Il drone si chiamava DJI Matrice 400 RTK.

Un bestione da lavoro: robusto, modulare, con un’autonomia sorprendente e la capacità di gestire payload importanti.
Ma la cosa che mi ha colpito davvero era una voce nella scheda tecnica:

“Ship-based landing function.”

In pratica, una funzione dedicata proprio all’atterraggio su imbarcazioni.

Il problema?
Tutti i video ufficiali di test erano stati fatti su navi enormi, in giornate perfette, con mare calmo e vento praticamente assente.
Ben lontano da un contesto reale, dove il vento medio supera facilmente i 15–20 km/h e il ponte di atterraggio è tutt’altro che stabile.

L’idea di provarci comunque

A quel punto avevo due opzioni:
Aspettare dati più solidi, oppure rischiare e provarci.
Ho scelto la seconda.

Da lì è iniziato un periodo in cui ogni giorno aggiungevo un pezzo al puzzle: quale barca usare, dove trovare una piattaforma adatta, quante persone servivano, chi poteva gestire i permessi per i test in mare… una lista infinita.

Progettare una piattaforma di atterraggio su misura

Il primo problema era fisico: dove atterra il drone?
Dovevo costruire una piattaforma 3 × 3 metri, montabile e smontabile in meno di un’ora, senza rovinare il ponte della barca.

Il dettaglio divertente (o tragicomico) è che nessuno era in grado di darmi disegni tecnici della barca.
Al massimo qualche foto sgranata vista dall’alto.

Così, la mia mente da nerd ha fatto quello che sa fare meglio:
ho scritto un piccolo programma che, partendo da una foto, mi permetteva di cliccare su due punti e stimare le distanze reali.
Era un azzardo, ma l’unico modo per non arrivare impreparato il giorno del test.

La piattaforma l’ho ridisegnata più volte:
all’inizio pensavo a blocchi di cemento per la stabilità, ma erano troppo pesanti e ingombranti.
Alla fine ho optato per una struttura interamente in legno, solida ma leggera, completamente smontabile.

Il giorno del test

La piattaforma era pronta e montata.
Il drone DJI M400 era lì, carico e silenzioso, pronto per la prima accensione.

Primo test: barca ferma in porto, all’ancora.
Decollo perfetto.


Ma quando avviamo la procedura di atterraggio… il drone non riconosce la superficie.
Riproviamo.
Niente.
Solo al quarto tentativo riesce finalmente ad appoggiarsi sulla piattaforma.

In quel momento ho pensato:

“Se con la barca ferma fatica così, in mare sarà un disastro.”

E come se non bastasse, nella mia testa rimbombava un pensiero costante:

“Questo affare costa quasi 10.000 €. Se cade in mare, è finita.”

Il test in mare aperto

Decidiamo comunque di uscire.
C’è più vento del previsto, ma ormai è tutto pronto.

Facciamo decollare il drone, lo manteniamo in hovering qualche secondo, poi attiviamo la modalità di rientro automatico.
Dallo schermo vedo i marker di riferimento sulla piattaforma che vengono riconosciuti.
Il drone inizia la discesa.
Il cuore batte.

Poi, in un istante…
Atterraggio perfetto!!!!!!

Molto più preciso e stabile rispetto al porto.
Solo dopo ho capito il perché: quando il drone “si aspetta” un bersaglio in movimento e lo trova, il suo controllo interno lavora meglio.
Una condizione dinamica è, paradossalmente, più stabile di una completamente statica.

Spingendo i limiti

Non contenti, abbiamo deciso di spingerlo oltre.
Abbiamo aumentato la velocità della barca fino a 12 nodi (22km/h), con vento frontale di circa 20 km/h. Quindi come se il drone sentisse quasi 45km/h.


Il risultato?
Incredibile.


Il drone ha gestito ogni manovra in modo impeccabile, centrando tutti gli atterraggi.

In quel momento ho capito che non si trattava più solo di un test, ma di una prova concreta che un sistema del genere poteva funzionare davvero.

Conclusione

Siamo rientrati in porto con un mix di stanchezza e soddisfazione.
Quel giorno avevamo dimostrato che era possibile far atterrare un drone in mare aperto, su una barca in movimento, in modo completamente automatico.

E la cosa più bella è che questo era solo l’inizio: il prossimo passo sarà capire come rendere tutto replicabile, operativo, e sicuro al 100%.

🎥 Ho raccontato tutto nel video su YouTube:

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